Cambia la materia prima e cambia la cucina. Di conseguenza, si trasformano anche molte delle vecchie buone norme rispettate per scongiurare brutte figure
La cucina, come spesso si dice, è una delle principali espressioni dei popoli. D’altronde, l’adagio parla chiaro: Paese che vai, usanza che trovi. E per indole diffusa del viaggiatore, una delle prime usanze indagate risulta quella culinaria. La gastronomia non sarebbe “tipica” se non segnasse un distinguo con altre tradizioni; e a consentire la differenza di gusto, contribuisce la fantasia, frutto di antiche stratificazioni culturali.
Non è detto che la fantasia sia necessariamente il frutto di una illimitata espressione di una cultura. Niente affatto, spesso è l’esatto contrario: sono le rigide regole di una pratica religiosa (ad esempio) a porre dei paletti pratici, stimolando gli usi e i costumi ad incamminarsi su strade alternative della loro espressione, generando – appunto – quella fantasia al potere: il potere della tavola; il potere riconciliatorio del gusto. Per questo che si esercita da millenni la convivialità e la condivisione delle pietanze.
Come detto, fra i fornelli può frapporsi una norma o una prescrizione di tipo culturale o religioso, ma il terreno gastronomico è terreno di scontro anche – per così dire – di tanta secolarizzazione. In altre parole, il “galateo” ha dettato delle severe regole più che condivise tra i buongustai e i cultori della cucina di qualità. Pertanto, molte mode lanciate in un particolare momento da qualche anonimo gourmet sono rimaste incagliate nella severità dei rapporti in tavola, divenendo porti sicuri con i quali schivare brutte figure tra i commensali.
Di fatto, anche chi non è avvezzo all’alta cucina sa che vigono marmoree regole dal quale difficilmente ci si sottrae, specialmente se si sta trascorrendo una serata in gaia convivialità (per non parlare della formalità di un contesto di lavoro). Principe di questi comandamenti culinari è l’abbinamento tra vino e cibo; alla base, il primo assunto: il vino bianco si sposa col pesce; il vino rosso con la carne. Oggigiorno, proprio tra gli appassionati di vino, si sta tendendo a trasgredire sempre di più questa convinzione.
Ovvio, non tutto il pescato si associa bene con il rosso, e viceversa; idem per la carne e il vino bianco. Ciò che si pensa risulti inconcepibile sin dalla notte dei tempi, in realtà è il frutto della tendenza gastronomica assimilata tra gli anni Settanta e Ottanta, quando la materia prima dettava legge tra i fornelli; nel frattempo, si è evoluto il vino tanto quanto le cotture. Merito (oppure no?) delle tecniche di vinificazione che hanno aggiunto molti elementi strutturali che aprono a varie soluzioni di abbinamento.
Dunque, carni non troppo elaborate trovano un buon compromesso con alcuni vini bianchi; parimenti, basta un vino rosso dalla buona acidità, una delicata tannicità e freschezza per sposarsi col pesce al forno. Anche nel contesto delle temperature con le quali servire il vino, si sta vivendo una nuova stagione: il vino rosso, come detta la vulgata, va servito a temperatura ambiente; in realtà, sempre di più viene degustato con una temperatura tra i 20 e i 30° (tra i 12 e i 16° per i vini più strutturati).
Al contrario, un vino bianco, un prosecco o uno champagne, possono essere sorseggiati senza che siano necessariamente ghiacciati: si esplorano meglio profumi e aromi. Un dessert, oggigiorno, può essere accompagnato da un vino dolce, e non soltanto da un brut. Inoltre, il vino rosato sta acquistando versatilità, smentendo la cattiva fama di “vino facile”. E ancora, l’uso del decanter: per i rossi giovani (fino a 5 anni di invecchiamento), non è necessario.
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