Il delitto della giovane modella Christa Wanninger è diventato un fatto di cronaca nera d’importanza nazionale. Gli sviluppi del caso.
Via Veneto negli anni Sessanta del Novecento rappresentava la strada della Dolce Vita romana, o almeno l’immagine che gli americani avevano di essa. Diversi scandali sessuali sono emersi in quel luogo, che all’epoca era un crocevia di attricette, modelle ed aspiranti star. In questo scenario si iscrive il delitto di Christa Wanninger, commesso il 2 maggio 1963 in una palazzina di Via Emilia, nei pressi di Via Veneto.
Quando hanno raggiunto lo stabile in seguito alla chiamata dei vicini di casa, i soccorritori hanno trovato il corpo della 23enne colpito da 11 coltellate. L’aggressione è stata tanto violenta che l’aspirante attrice, appena uscita dall’ascensore, non è riuscita neanche a suonare alla porta dell’amica con cui aveva appuntamento. La donna è stata dichiarata morta in ospedale.
La ricostruzione e le indagini
Christa Wanninger era una modella di origini tedesche, nata a Monaco di Baviera nel 1940. Era venuta a Roma con l’aspirazione di fare l’attrice e diventare una star. L’omicidio della giovane donna è stato uno dei fatti di cronaca nera più noti nel periodo della dolce vita, anche perché ha sollevato l’attenzione dell’opinione pubblica su un giro di attricette e scandali a sfondo sessuale nel mondo dello spettacolo.
Il 2 maggio 1963 Christa Wanninger si stava recando a casa di una sua amica, collega e connazionale, Gerda Hodapp, che abitava nello stabile di Via Emilia. Raggiunto il quarto piano con l’ascensore Christa è stata raggiunta da una raffica di coltellate. L’amica che l’attendeva non ha neanche aperto la porta, nonostante le urla e le grida di aiuto fossero piuttosto forti.
Difatti i vicini hanno chiamato subito i soccorsi, ma invano. Gerda, l’amica della vittima, è stata accusata di favoreggiamento nell’omicidio, ma ben presto rilasciata per mancanza di prove. I vicini di casa hanno notato un uomo ben vestito con un abito blu di circa trent’anni che usciva dal palazzo con tranquillità, mentre gli abitanti dello stabile erano affacciati a porte e finestre allarmati dalle grida della donna.
I sospetti e l’incriminazione di Guido Pierri
Il caso di Via Veneto era rimasto senza un movente né un assassino. Fino a che l’anno successivo un uomo chiamò anonimamente un giornalista di Momento Sera dicendo di essere il fratello dell’assassino, e di volere 5 milioni di lire per le informazioni. Il giornalista avvertì subito la Polizia, che riuscì ad identificare il luogo della chiamata ed il suo artefice. Si chiamava Guido Pierri, un pittore affetto da superomismo e da pensieri misogini.
Nel suo appartamento, oltre l’abito blu ed un coltello compatibile con quello che ha ucciso la donna, sono stati trovati dei quaderni in cui il Perri spiegava la sua filosofia delirante, confessando anche il delitto di Christa Wanninger ed il pedinamento di numerose donne. Pierri dichiarò di essere innocente e che erano solo fantasie giornalistiche. Non furono trovati indizi che potessero incriminare definitivamente l’uomo. Guido Pierri scontò due mesi di prigione per tentata truffa.
Nel 1971 alcuni giornalisti d’inchiesta di un settimanale tedesco riaprirono il caso, infiltrandosi nella casa di Pierri come critici d’arte. Inoltre intervistarono insieme ad un giornalista di Paese Sera un ex maresciallo che era andato in pensione proprio per occuparsi in via ufficiosa del caso di Via Veneto. A parere del maresciallo Pierri era il vero colpevole.
Le indagini furono riaperte e Guido Pierri nel 1985 fu definitivamente ritenuto responsabile per la morte della modella Christa Wanninger. Non fu arrestato in quanto incapace di intendere e volere all’epoca dei fatti, ma ritenuto sano e riabilitato al momento presente e dunque a piede libero. Pierri nel frattempo si era sposato ed aveva avuto due figli. Ha sempre professato la sua innocenza. Nonostante sia stato messo un punto sul caso, si può dire che molte nebbie siano ancora da dissipare, a partire dal ruolo della amica e connazionale della vittima Gerda Hodapp, scomparsa dopo i fatti del 1963.