L’attore e regista romano dice la sua riguardo alle polemiche dichiarazioni di Pierfrancesco Favino sui ruoli Italiani agli americani: la verità è un’altra
Ci voleva la sortita a Venezia di Pierfrancesco Favino per mettere di fronte allo specchio il cinema italiano. No, non c’è bisogno di un “processo” per comprendere che la settima arte made in Italy non soffre certo da ieri di problematiche legate a questioni culturali, di principio e meramente di mercato. L’aspetto economico si inserisce a pieno in questa querelle dal momento che anche una questione di credibilità riempie la sala e garantisce la sopravvivenza di un intero sistema.
Insomma, la seconda prova in un ruolo italiano del talentuoso attore statunitense Adam Driver è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso. Dopo The House of Gucci, film del 2021 in cui l’attore ha interpretato il ruolo di Maurizio Gucci, presidente della casa d’alta moda, ucciso nel 1995 (e Lady Gaga nel ruolo della moglie, Patrizia Reggiani, oltre al resto della famiglia interpretato da attori di origine anglosassone), quest’anno è stato presentato alla Mostra del Cinema di Venezia la pellicola Ferrari, di cui il personaggio Enzo è impersonato proprio da Driver.
L’opinione di Pierfrancesco Favino, in concorso a Venezia con Adagio di Stefano Sollima, ha rappresentato un fulmine a ciel sereno, e se a cinque giorni dalla chiusura della Mostra del Cinema sopravvivono i toni polemici e si confrontano con le dichiarazioni di altri esponenti del cinema italiano, forse una buona dose di verità la contiene. L’attore romano ha posto l’accento sul problema che gli americani non chiamano più attori italiani per ruoli italiani: impensabile fino a trenta, quarant’anni fa.
Secondo l’attore pluripremiato, la questione risiede nel fatto che le produzioni di casa nostra non sanno più imporsi e, in termini più generali, la mancanza di scelte coraggiose ha abbassato la gloriosa reputazione di un’indiscussa tradizione, rispettata persino da Hollywood. A rispondere al j’accuse di Favino, c’è un altro attore (e regista), un veterano della commedia all’italiana: Carlo Verdone. In realtà, la. sua non è una smentita, quanto piuttosto rilevare che la polemica riguarda ancorché aspetti marginali.
Il problema sarebbe forse ben più ampio, ma – a dire dello stesso Verdone – ancora non si capisce cos’è che sta costantemente deprimendo i botteghini italiani: «È un problema di scrittura? Vogliono altri attori? Serve più sperimentazione? Il futuro è un gigantesco punto di domanda. Ogni giorno chiude una sala», così ha dichiarato il regista nell’intervista rilasciata a La Stampa. Accanto a lui, il produttore Aurelio De Laurentiis è ancora più tranciante: «i film italiani sono scritti male». I dati Cinetel sono oggettivamente preoccupanti. Eppure, Carlo Verdone ravvisa un altro pericolo: l’imperversare del politicamente corretto, capace di ipersessualizzare la Divina Commedia, ma di condannare i contenuti della commedia anni 60.
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