Ecco cosa potrebbe decidere il governo riguardo alla possibilità di accorciare il raggio degli adeguamenti annuali sugli importi delle misure previdenziali
Circa una decina di giorni separa dalla nuova tornata di consegne relative ai ratei delle pensioni, competenza di ottobre. Nei mesi scorsi si è assistito ad un notevole contributo in termini di novità che hanno investito la principale fonte di sussistenza per gli anziani contribuenti in qualità di pensionati. In termini quantitativi, le novità non sono state molteplici, ma qualitativamente sono ad oggi essenziali. Il fatto che la durata di erogazioni extra sia piuttosto lunga sta nel fatto che le tempistiche sono subordinate alla disponibilità di credito delle casse previdenziali (pertanto, si opera per scaglioni).
Migliaia di controlli da parte dell’INPS sono proseguiti anche nel corso del periodo estivo, e a parte i conguagli negativi scaturiti in taluni casi (dunque, con l’imminente restituzione delle somme erroneamente percepite), vari utenti hanno assimilato – al contrario – somme extra derivanti dalla verifica dello status familiare, dell’età, e dei canoni aggiornati dell’ISEE familiare. Oltre alle integrazioni, sono andati aggiungendosi gli arretrati per i mesi pregressi.
Certo, sin dall’inizio di quest’anno, l’adeguamento ISTAT (in realtà, anticipato per una parte di un trimestre, nel 2022) ha rappresentato la leva principale per fronteggiare lo strascico erosivo della crisi e dell’inflazione. Sebbene con notevole ritardo rispetto alla tabella di marcia annunciata dalla Legge di Bilancio 2023, esso costituisce lo strumento di difesa in particolare per le pensioni minime, le quali hanno beneficiato per ultime degli aumenti.
Circa i trattamenti previdenziali più bassi, occorre ricordarlo, è stata prevista l’applicazione di due indici di adeguamento: un rialzo del 1,5% per i pensionati minimi fino a 75 anni; un indice incrementativo del 6,4% per gli over 75. Per questi ultimi, ala revisione degli importi ha comportato uno spostamento del rateo mensile sulla soglia dei 600 euro. I primi ratei minimi “aggiustati” si sono visti con le consegne di settembre, mentre le pensioni più alte sono state revisionate a partire dallo scorso gennaio.
Per il 2024, l’aumento potrebbe riscontrare invece seri problemi, al punto da presumere che si possa invertire l’ordine dei provvedimenti rispetto a quanto operato nel 2023. I 2 miliardi di euro attualmente a disposizione, non solo non bastano ad avviare la sperata riforma del sistema pensionistico, ma si dovrà rimediare all’esistente con qualche modifica. Il budget dovrà bastare a confermare Quota 103 (niente più Quota 41), Ape sociale e Opzione Donna. Anche per il prossimo anno, dovrà essere rimandata la promessa berlusconiana di portare le minime da 600 a 1.000 euro; al limite si penserà a lavorare per una rivalutazione tra 650 e 670 euro degli assegni. Dovrebbe essere riconfermato, invece, il sistema di rivalutazione delle pensioni, ora basato su sei fasce di reddito, dove le percentuali di adeguamento diminuiscono con il crescente importo del trattamento: dalla rivalutazione piena dell’indice 7,3% (base inflazionistica di quest’anno) per i ratei mensili fino a 2.100 euro al 32% della rivalutazione per gli assegni oltre 10 volte il minimo.
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