I nuovi accordi del governo italiano al G20 di Bali mettono fine al lungo confronto con la Cina dopo le prime firme congiunte apposte alle intese del 2019
L’epilogo è arrivato inaspettato (o forse no), durante il vertice del G20 di Bali, tenutosi lo scorso fine settimana, il 9 e 10 settembre. Certamente ogni incontro ad alto livello dei Capi di Stato delle principali economie mondiali (le prime 20) che si svolge entro l’attuale e delicato contesto storico, genera tante sorprese e poche conferme (o almeno, molto prevedibili). L’odierno scenario di guerra in Ucraina, i focolari in Africa, lo stravolgimento degli equilibri internazionali rende estremamente complicato ogni accordo tra i Paesi, non privo di contrappesi diplomati e finanziari.
È indubbio che ancor di più in questo momento, nonostante siano 20 le economie “convocate”, sono soprattutto quelle 5-6 che stanno dettando gli equilibri giorno per giorno. Il vertice di Bali ha confermato come occorre mantenere un’attenta osservazione sul continente asiatico perché con tutta probabilità è da lì che arriveranno le principali novità in tema di strategie globali dell’economia. Forti dell’ascesa organizzativa dell’ultimo sono gli Stati appartenenti ai cosiddetti “Brics” (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica) ad essere i privilegiati osservatori speciali.
Ancora una volta è la Cina ad avere un ruolo fondamentale tra i cerimonieri dell’incontro, dato l’ago della bilancia che rappresenta nella regione continentale. Al contempo, la regione è agitata da molteplici dinamiche che vanno dall’emergere di nuovi conflitti, dall’acuirsi dei vecchi, fino alla determinazione di nuovi e potenti protagonisti delle rotte commerciali che collegano le fonti della produzione mondiale di merce all’Occidente.
Ne deriva, altresì, che l’Occidente, ed in particolare l’Europa, si riveli inesorabilmente un passivo consumatore. La presenza degli Stati Uniti, con i relativi tavoli dei negoziati presieduti dal presidente John Biden, ricorda che l’egemonica immagine della prima economia mondiale non è ancora sbiadita. Ma per quanto riguarda l’Italia, questo vertice rimarrà alla memoria per una decisione che avrà non poca influenza sulla ricchezza del Paese.
Il capitolo è definitivamente chiuso: l’Italia è fuori dalla Via della Seta. La decisione è stata presa dal governo Meloni, ritirando l’Italia dall’accordo siglato con la Cina nel 2019, dall’allora premier Conte e Xi Jinping. L’intesa si era tradotta in miliardi di investimenti sui settori di energia, trasporti, cantieri e credito, anticipati dalle firme su ambiti chiave dell’economia del Paese, come il terminale del porto di Trieste, o il salto tecnologico col 5G del gigante asiatico.
Tutto questo viene ora sostituto dal nuovo impegno, economicamente copia del precedente ma su un fronte del tutto diverso, ossia il corridoio economico India-Medio Oriente-Europa. L’accordo ha la sponsorizzazione degli Stati Uniti e vede la partecipazione dell’Unione Europea, l’India, la Germania, la Francia e gli Emirati Arabi. L’uscita dalla Via della Seta era già all’orizzonte, ma lo scoppio della bolla immobiliare in Cina e il fallimento del colosso Evergrande hanno costituito un incentivo per cambiare idea. Ad ogni modo, tra Cina e Italia, restano in piedi le questioni bilaterali e internazionali, ed entrambi i Paesi hanno manifestato la comune intenzione di approfondire i rapporti.
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