Sono passati 48 anni dal massacro del Circeo, eppure l’opinione pubblica è ancora interessata a conoscere i fatti di uno dei casi di cronaca nera che maggiormente hanno sconvolto il Paese. Dietro tre ragazzi della Roma bene si nascondevano degli assassini sadici ed efferati. Possiamo conoscere tutta la storia grazie al racconto di Donatella Colasanti. È riuscita a sopravvivere fingendosi morta.
“Mi picchiano in testa col calcio della pistola, sono mezza stordita, e allora mi legano un laccio al collo e mi trascinano per tutta casa per strozzarmi, svengo per un po’, e quando mi sveglio sento uno che mi tiene al petto con un piede e sento che dice: “Questa non vuole proprio morire“, e giù a colpirmi in testa con una spranga di ferro. Ho capito che avevo una sola via di uscita, fingermi morta, e l’ho fatto“. Questo è un estratto del racconto che Donatella Colasanti ha fornito agli inquirenti, ricostruendo quei terribili giorni che avrebbero segnato per sempre la sua vita.
I corpi di Donatella Colasanti e di Rosaria Lopez, sono stati trovati in una 127, parcheggiata a Via Pola, Roma. Solo Che Donatella era ancora viva, invece Rosaria era morta. Quando gli aguzzini si sono allontanati dal veicolo, Rosaria ha iniziato ad urlare ed a prendere a calci il bagagliaio dell’auto, dove erano rinchiuse.
Il messaggio che un metronotte mandò ai Carabinieri fu intercettato da un giornalista, che si è recato subito sul posto, ed è riuscito a scattare la foto simbolo del massacro del Circeo: l’apertura del bagagliaio, il ritrovamento del cadavere di Rosaria e di Donatella, ancora viva, ma evidentemente sotto shock. Le due ragazza erano completamente nude.
Grazie alla testimonianza di Donatella Colasanti, che fino alla sua morte a 47 anni si è battuta chiedendo giustizia, si è riusciti a ricostruire i terribili fatti di quei giorni. Donatella e Rosaria avevano conosciuto Angelo Izzo, Gianni Guido e Andrea Ghira grazie ad un amico comune. I tre ragazzi, studenti universitari, provenivano da famiglie della Roma bene, figli di imprenditori e professionisti. I loro modi gentili, garbati e da ragazzi di buona famiglia hanno colpito subito l’attenzione di Rossella e Rosaria, che vivevano nel quartiere popolare Montagnola.
Si sono incontrate con i tre al fungo de l’Eur, un ristorante bar panoramico del quartiere romano. In quell’occasione i ragazzi le hanno invitate a partecipare ad una festa, vicino Lavinio, a cui – dicevano – avrebbero partecipato anche i loro compagni di scuola e l’amico comune che li aveva presentati, che alla fine si è dimostrato totalmente estraneo ai fatti. Donatella, 17 anni, e Rosaria, 19 anni, accettarono.
Guido ed Izzo però non le hanno portate a Lavinio, ma in una villa appartenete alla famiglia di uno di loro, Ghira, a San Felice Circeo. Inizialmente stavano chiacchierando pacificamente, e dicevano di essere in attesa del loro amico, e che poi le avrebbero portate alla festa a Lavinio. Dopo qualche ora, nella serata del 29 settembre 1975, i due ragazzi hanno iniziato a fare esplicite avances alle ragazze, dicendo di voler avere rapporti sessuali con loro.
Di fronte all’esplicito rifiuto hanno iniziato ad infuriarsi. La maschera di ragazzi per bene era ormai caduta. Hanno tirato fuori la pistola ed hanno detto di far parte del clan dei Marsigliesi – organizzazione mafiosa e criminale romana che faceva capo a un delinquente francese, Jacques Berenguer -. Hanno aggiunto che il loro capo Jacques voleva che prendessero due ragazze.
Ormai i tre bravi studenti universitari avevano rivelato tutta la loro natura folle e sadica. In passato avevano già partecipato ad una rapina a mano armata. Ed uno di loro era stato condannato per lo stupro di due minorenni, poi rilasciato grazie ad un indulto. Questi errori giudiziari hanno portato ai terribili fatti di quei giorni. Guido e Izzo hanno legato le due ragazze e le hanno chiuse in bagno, dopo averle violentate ripetutamente. Donatella, durante il processo ha dichiarato che la gravità di quello che le era successo andava ben oltre lo stupro.
Le due ragazze, chiuse in bagno e legate mani e piedi, hanno provato a liberarsi. Nel tentativo hanno rotto un lavandino. Quando gli assassini se ne sono accorti si sono arrabbiati, le hanno picchiate selvaggiamente e chiuse in due bagni diversi. Nel frattempo era arrivato anche Ghira, che si era presentato come il capo del clan dei marsigliesi.
Le due giovani ragazze hanno passato 36 ore di inferno. Sono state ripetutamente violentate, seviziate e torturate. Dopo che gli aguzzini le hanno separate, Donatella inizia a sentire sempre più forti le urla di Rosaria, e poi il silenzio. Rosaria era morta. Allora si avventano su Donatella prendendola a calci e cercando di strangolarla con una cintura.
La giovane ha approfittato di un momento di distrazione dei ragazzi cercando di raggiungere un telefono per chiamare aiuto. Loro se ne sono accorti e l’hanno continuata a colpire, dicendo: “Questa non vuole proprio morire“. Ed allora l’hanno colpita con una spranga. Donatella ha capito che la sua unica possibilità di sopravvivere era fingersi morta.
E così ha fatto. Le due ragazze sono state caricate sulla 127 e portate verso Roma. Donatella ricorda benissimo che gli assassini hanno iniziato ad ironizzare sulle due “morte nel bagagliaio”. Sono andati a cena fuori lasciando l’auto nel parcheggio, e poi le hanno lasciate nel bagagliaio della 127 a Via Pola, abbandonando la vettura. Donatella è rimasta ore lì dentro, nuda, ferita, con affianco il corpo dell’amica. Poi il ritrovamento.
Donatella Colasanti, decise di partecipare al processo e di testimoniare contro gli imputati, nonostante le minacce di morte ricevute. Anche le associazioni di femministe si sono costituite parte civile. Angelo Izzo e Gianni Guido sono saliti sul banco degli imputati. Andrea Ghira è riuscito a sottrarsi alla cattura ed a scappare. Il giorno dopo la fuga, la Polizia ha trovato la madre e la sorella di Ghira nella Villa al Circeo di proprietà della famiglia, probabilmente intente ad eliminare qualche traccia. Al termine del processo, tutti e tre gli indagati sono stati condannati all’ergastolo.
La difesa dei ‘bravi ragazzi’ ha sostenuto fino all’ultimo momento la responsabilità delle due giovani vittime. A parere dell’avvocato, le due ragazze avrebbero provocato i suoi assistiti. La loro colpa è stata di accettare l’invito. “Se fossero rimaste a casa non sarebbe successo nulla”. Lo stupro all’epoca, retaggio della Legge Rocco di stampo fascista, era considerato un crimine verso la moralità pubblica, non nei confronti delle vittime.
Andrea Ghira con tutta probabilità è scappato all’estero, dove è morto di overdose decenni dopo. La sua tomba, con il nome Massimo Testa de Andres, è situata a Melilla, in Marocco. Le analisi del DNA hanno confermato l’identità di Ghira.
Gli altri due continuavano anche dal carcere a rivendicare la loro identità neofascista. Gianni Guido è riuscito ad evadere dal carcere di San Gimignano ed a scappare in Libano, poi si è costruito una nuova identità ed ha continuato a viaggiare fino al 1994, quando è stato riconosciuto, arrestato in Francia e riportato in regime di detenzione. Nel 2008, Guido è stato affidato ai servizi sociali, e poi rimesso in libertà grazie ad uno sconto parziale di pena.
Angelo Izzo, detenuto nel carcere di Palermo, è stato affidato nel 2004 ad un regime di semilibertà. Tre mesi dopo l’uscita dal carcere, Izzo ha rapito ed ucciso due donne, rispettivamente madre e figlia di un compagno di cella di Izzo, legato all’organizzazione criminale Sacra Corona Unita. La ragazza aveva solo 14 anni. Nel 2007 Izzo è stato condannato nuovamente all’ergastolo.
Rosaria Lopez è morta nella villa del Circeo, annegata nella vasca dopo giorni di sevizie. Aveva 19 anni. Donatella Colasanti ha riportato i segni del trauma per tutta la vita. Non si è mai riuscita a riprendere del tutto dallo shock di quanto è accaduto tra il 29 ed il 30 settebre del 1975. Il 30 dicembre del 2005 è morta a Roma per un tumore al seno, all’età di 47 anni. Il massacro del Circeo ha definitivamente aperto il vaso di Pandora sulla violenza della gioventù ‘bene’ dell’epoca.
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