L’attore pugliese ha rilasciato un’intervista che ha commosso i suoi fan. Parla della moglie, della sua vita e dell’amicizia con il Papa.
Lino Banfi, al secolo Pasquale Zagaria, ha rilasciato un’intervista al ‘Corriere della Sera’ in cui ha voluto raccontare alcuni aneddoti, i suoi rimpianti e il grande amore per sua moglie Lucia, venuta a mancare alcuni mesi fa.
Un rapporto di amicizia lo lega a Papa Francesco: “Ogni tanto mi chiama. E io gli racconto gli episodi più divertenti della mia vita, e pure quelli tristi: il mio sogno è sempre stato far ridere e piangere insieme. Come prova d’amicizia gli ho chiesto questa foto. Lui ha messo via il bastone, e si è appoggiato a me”.
I primi ricordi che ha della sua vita sono quelli dei bombardamenti, durante la Seconda Guera Mondiale: la corsa al rifugio e il suo amato nonno Giseppe che gridava ”Pasqualì porta li pupazz!”, per cercare di far trascorrere ai bambini, quei tragici momenti, nel miglior modo possibile. I pupazzi in questione erano stati costruiti con la mollica del pane indurita, ancora ne ricorda il nome che aveva dato loro: Orlando, Rinaldo e Angelica.
Già all’epoca Lino amava l’intrattenimento, con questi pupazzi metteva in scena degli spettacoli nei rifugi, in cambio di mandorle. Da lì nacque la sua celebre battuta: “Ti spezzo la noce del capocollo”, che si scambiavano i tre pupazzi.
Non può mancare il ricordo dei suoi genitori, suo padre Riccardo che di professione era un ortolano di porri e cipolle, aveva la terza elementare. Il suo rimpianto è di non avergli mai detto ‘ti voglio bene’. Sua mamma ha potuto godersela di più, lei a scuola non c’era mai andata, firmava con una X. L’attore ha due fratelli Giuseppe, agente di custodia alle Nuove di Torino e Nicola, assicuratore. Poi ha una cugina, Sabrina, che è cresciuta con loro ed è come una sorella.
Da ragazzo entrò in seminario, voleva studiare e le strade erano due: prete o notaio. Scelse la prima ma fu cacciato per indisciplina: organizzava scherzi, spiava le suore, nelle recite interpretava Giuda ma voleva far ridere. Lo punivano, invano e un giorno il monsignor Di Donna, oggi beatificato, gli disse: ”la tua vocazione non è il sacerdozio ma far divertire la gente”.
Poi a 18 anni si trasferì a Milano per inseguire il suo sogno, lì, all’epoca, la vita era difficile per i meridionali: per trovare un posto in cui dormire trovava solo annunci con la scritta ”non si affitta ai terroni”. E allora invece di Andria diceva di essere di Adria, e lo faceva con l’accento veneto.
Però i soldi finirono in fretta, viveva come un clochard. Allora arrivò il consiglio di un barbone: “fatti togliere le tonsille, tanto non servono a niente così stai una settimana in ospedale”.
“Mi preparò un intruglio, mi si gonfiò la gola e andai in ospedale, mi operarono ma non avevo calcolato che mi avrebbero fatto digiunare. E allora in preda alla disperazione dissi la verità al primario che per mi capì, affidandomi a una suora e lasciandomi un’altra settimana in ospedale con due pasti abbondanti al giorno”, raccontò.
Fu Totò a Roma a consigliargli di cambiare nome, non andava bene il suo: doveva abbreviarlo. Così il suo impresario, che era anche un maestro delle elementari, aprì il registro a caso e capitò Banfi: “gli ho rubato il cognome e non l’ho mai conosciuto, mi piacerebbe farlo”, ha confidato l’attore.
E poi il racconto sul grande amore della sua vita. Conobbe Lucia dopo che lo espulsero dal seminario, “avevo saltato l’adolescenza lì e volevo una fidanzata”. All’inizio lei non voleva consocerlo ma dopo verie insistenze la conquistò. La famiglia di lei era contraria e allora fecero la classica fuitina: si sposarono alle sei del mattino in sacrestia, il testimone tardava ad arrivare e il prete si lamentò ”Sbrighiamoci che dopo ho un matrimonio’‘. Ci rimase male ”Scusi e il nostro cos’è?” e allora promise a Lucia che un giorno le avrebbe regalato una festa da principessa.
La promessa la mantenne, e per le nozze d’oro fecero un ricevimento al Parco dei Prinicipi.
Si amarono immensamente, andavano sul camion della verdura del cugino, a scuola la maestra gli diceva: ”Sua figlia Rosanna deve mangiare la carne sennò diventa rachitica”. Allora pensò basta con l’avanspettacolo, chiese al senatore di Canosa un posto da fattorino in banca, non ci dormì tutta la notte ma si era imposto di farlo. La mattina seguente Lucia gli disse: ”Tu oggi non ci vai. Non voglio vivere con un uomo infelice, tu farai l’attore!”.
”A lei devo tutto”, dichiara commosso e aggiunge: “Ci siamo promessi che nell’aldià ci faremo un fischio, un segnale per riconoscerci. Non ci siamo mai lasciati”.
Come se lo immagina l’aldià? “Un posto tranquillo e accogliente, così Lucia me lo sta preparando”, ha concluso.