Michela Murgia. Una figura di grande valore del nostro tempo. Simbolo di tante battaglie e tanti pensieri, la ricordiamo così, con i nostri dispiaceri e il ricordo di sua madre rilasciato in un’intervista.
Mi trovo in difficoltà. Sì, perché scrivere di lei è per me sicuramente un onore ma anche un carico personale non scontato, come si può scrivere un articolo su una scrittrice, femminista, persona di tale calibro? Non oserò peccare di hybris e mi limiterò a dire solo alcune parole.
Proprio in pieno San Lorenzo, mentre il cielo lanciava le proprie stelle, Michela ci ha lasciati. 51 anni, a causa di un carcinoma renale al quarto stadio che aveva già raggiunto metastasi a polmoni, ossa e cervello. Una scoperta tardiva, data la mancanza di controlli a causa del periodo Covid che ha rallentato tutti gli accertamenti. Tante le battaglie di una persona che aveva raccolto in se stessa la figura del valore femminista e della sua lotta al patriarcato e dell’idea di una famiglia non tradizionale. Tutto ricollegato da un solo concetto unico e indissolubile: libertà.
Colei che ha combattuto per la libertà, sociale e politica, in un mondo di cui non riconosceva la sua struttura, così ferma e bloccata, assente di amore e affetto. Due cose che nella sua famiglia è stata in grado creare “in effetti la famiglia queer era il suo sogno, ha sempre voluto tanta gente intorno, voleva molti amici e cosa si può chiedere di più” racconta la madre, Costanza Marongiu. “Michela era malata da un anno e mezzo, ma aspettarmelo no” risponde spiegando se si aspettava l’addio di sua figlia “perché fino al giorno prima mi ha nascosto la verità. Mi diceva: sto migliorando. E io ci credevo“.
La descrizione continua, in una madre fiera di sua figlia, non del successo in sé, ma del grande valore umano che aveva raggiunto, di tutto quello che era stata in grado di raccontare di se stessa e della sua famiglia nei libri “io le dicevo: non ci mettere in mezzo, sono schiva. E lei: mamma non hai capito? se devo scrivere della mia vita tu ne fai parte“. Orgogliosa di sua figlia, dei suoi romanzi e dei suoi saggi; gli occhi di una madre che ne ha viste tante e tante ne ha sofferte.
Non si dimentica l’intervista di Michela Murgia a VanityFair del racconto di quella notte del 1990, quando la madre portò lei e suo fratello fuori, al sicuro, a causa di loro padre, violento e aggressivo che la madre stessa ricorda così “era instabile, molto difficile instaurarci un rapporto; oggi buono, domani belva.”. Così in quella notte del 26 dicembre 1990, portati in salvo, Michela non è più tornata a casa “Michela non è voluta più tornare a casa con noi. C’è tornata quando mi sono separata dal padre.”
Ma una madre non dimentica tante cose, non solo quei momenti difficili di una vita con un uomo violento, ma anche immagini che sanno commuovere e ricordare cosa significa voler bene. Così le viene chiesto di scegliere un’immagine “in questo momento lei sta presentando un libro a Cagliari e cinque minuti dopo abbraccia me e il fratello: è successo l’anno scorso, a dicembre.”
Sono tanti i dolori che si possono vivere, ma forse solo alcuni sono così innaturali e forti da essere devastanti e penso che tra questi c’è il dolore innaturale, insano, di vedere morire tuo/a figlio/a prima di te genitore. E in ciò, questo ultimo racconto di Michela dagli occhi della madre ce lo fa sentire.
“mi ha detto che stava bene e che era serena. Preferiva spostarsi a casa sua, morire a casa e non all’ospedale. E perché mi dici questo? ho chiesto. E lei: mamma lo sai, può capitare in qualsiasi momento. Ecco per me Michela non è andata via: lei è ancora qua.”
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